Se fai a pugni da solo

Leggere o ascoltare quotidianamente cattive notizie è ormai una consuetudine tristemente diffusa. Chiunque disponga di una connessione ad internet e di uno smartphone, un computer o un tablet sa di cosa sto parlando. Si tratta di una parte integrante delle nostre giornate, una dinamica alla quale non riusciamo quasi a sottrarci e a cui ormai abbiamo fatto l’abitudine, nonostante un dato allarmante: i protagonisti di questo racconto continuo e drammatico, infatti, sono dei giovanissimi, ragazzi e ragazze ogni giorno più a disagio con sé stessi e con il mondo in cui vivono, a cui le nostre scuole e le nostre università lasciano sì il segno ma dell’insoddisfazione e dell’inadeguatezza, della disillusione e della confusione.

L’ultimo caso in ordine di tempo risale allo scorso venerdì notte quando ad Ancona, in occasione di una festa universitaria organizzata presso la Facoltà di Ingegneria del posto, uno studente fuori sede di appena 22 anni è stato ritrovato a terra, senza documenti, privo di sensi, rannicchiato in un angolo, lungo la discesa che dal sovrappasso pedonale dell’università di Ingegneria conduce, dritti dritti, al cimitero comunale. Col volto tumefatto, un occhio nero e uno zigomo fratturato, il ragazzo era una vera e propria maschera di sangue tanto che chi ha dato l’allarme credeva fosse morto. Per ricostruire l’accaduto (un incidente? un pestaggio? una rapina finita male?) si è dovuta attendere la mattinata di sabato, quando il giovane ha ripreso conoscenza e ha dato la propria versione di quello che a tutti, sin da subito, era sembrato uno dei tanti drammi da fine-settimana che stroncano decine e decine di giovani vite. Difficile a dirsi, ma si trattava di qualcosa – al tempo stesso – di più e meno grave. Qualcosa di più banale, certo, ma di così banale da essere assurdo e di così assurdo da essere intollerabile per chiunque.

“Ho fatto tutto da solo” ha ammesso il ragazzo, ancora frastornato dal mix di alcool e droghe assunte la sera precedente. “Sono inciampato e ho battuto la testa”. Fine della storia. Una storia così deprimente da risultare ridicola e così ridicola da mordere la nostra indifferenza con un’amarezza incomprensibile. Pensaci un attimo! Ti è capitato, anche solo una volta, di ridurti così o in uno stato simile? Ti è mai successo di non ricordare non solo cosa sia successo, ma come? Ecco, è proprio con te che mi interessava parlare.

Se il tuo peggior nemico sei tu, se stai facendo a pugni da solo, se la strada che stai percorrendo ti porta inaccettabilmente dall’università al cimitero, da un party ad un marciapiede, se l’unico incidente che fai in continuazione è svegliarti la mattina (sempre e soltanto per fare la cosa sbagliata) è a TE che vorrei rivolgermi. O se ormai più che fuori sede ti senti fuori di testa, se sei passato dalla carta stampata alle cartine, se l’unica verità che ‘scopri’ nell’alcool è che tutta la vita che hai vissuto finora è un’enorme bugia, una farsa spropositata anche TU potresti essere il mio interlocutore ideale. Se ancora portarti dietro i documenti non ti cambia nulla perché tanto in ogni caso, non sai più chi sei, se non ricordi cosa hai fatto ieri sera e chi sei stato negli ultimi cinque giorni, ti prego fermati un momento!!!

Mi piacerebbe ascoltassi quello che ho da dirti. Non ci vorrà molto, ma vorrei lo sapessi. Cosa? Che questa strada a sensi alternati che ti porta soltanto a saltare l’ostacolo, esame dopo esame, o a inciampare e finire nella prima fossa che capita a tiro, questa strada che non tiene conto della tua stanchezza o di quanto a lungo tu abbia camminato finora, questa strada… non è la tua. Non devi pensare che la tua vita sia tutta una linea retta che comincia quando all’università devi scegliere chi diventare e finisce nel giro di qualche anno quando non ti resta che accontentarti di quello che, per caso, sei diventato. È questo che volevo sapessi: che puoi ancora trovare il tuo svincolo, che c’è ancora tempo per un ricalcolo di percorso. Non fare del tuo tempo un pendolo che oscilla tra l’università e il cimitero, tra la frustrazione e il fallimento. Non sei nato per consumarti le scarpe su e giù, lungo la stessa strada, per una settantina d’anni e poi andartene dritto dritto all’altro mondo. Devi comprendere che l’alternativa a questo andirivieni assurdo non è collassare per strada, facendo a pugni da solo. L’unico eccesso che devi rincorrere sei tu, è la tua vita. Se solo ti rendessi conto di chi sei davvero e di quanto vali, capiresti che la tua vita, così com’è, va già ben oltre la strada che stai percorrendo, e ben oltre questo mondo che non ti basterà mai fino in fondo.

Perché eccedere in realtà vuole dire “uscire e ripararsi fuori”, ripiegare sulla propria fragilità, cedere su di essa e trovare in quello smarrimento, in quella frana di ciò che ti ha sempre trattenuto, un nuovo punto d’appoggio, un nuovo equilibrio, la giusta proporzione per misurarti col mondo, per scoprire che non sei così piccolo come temevi ma che in realtà sei stato creato in vista di qualcosa che val al di là di questo mondo. A misurare davvero il tuo viaggio non è il numero di scarpe che porti, ma quanto è grande il cuore che ti urla gentile in petto e che neppure tu puoi scegliere di fermare.

Ecco il mio consiglio, allora. Sii eccessivo, ma per davvero. Ferma le tue scarpe e lascia correre il tuo cuore. Vivi la tua vita e ti ritroverai qualcosa di più grande della tua vita stessa. Esci fuori da questo mondo di cattive notizie e strade a senso unico. Trova la tua strada e torna a casa.

Perché anche se spesso non ce ne rendiamo conto, in questa vita siamo tutti, ognuno a modo suo, studenti fuori sede in attesa che finisca la sessione estiva. In attesa di tornare a casa.

 

Gionathan

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