La tentazione della morte

Il desiderio di spingersi oltre, di solcare nuovi orizzonti, di camminare su terreni sconosciuti e provare un brivido nuovo. La voglia matta di fare di più, di aggrapparsi a qualcosa, di lottare per un attimo di emozione.

Ma lottare per cosa?

È l’era del Web. Restare sospesi tra la volontà di afferrare lo scopo e la paura di scoprire di cosa si tratti.

Altre volte, invece, decidere istintivamente. Basta un click.

Giochi della morte, sfide assassine e challenge omicide stanno prendendo il sopravvento su un numero allarmante di adolescenti sempre più piccoli, come si comprende dalle più recenti notizie.

‘Blue Whale Game’, ‘MOMO Game’, ‘Blackout Game’ e molti altri. Nomi diversi, denominatore comune: che siano trovate in rete oppure che si tratti di un gioco tra amici, ciò che spinge i ragazzi a decidere di intraprendere una challenge mortifera è la volontà di trovare una soluzione, di appagare un vuoto incolmabile, è la sete di cambiamento.

L’attrazione per qualcosa di più grande ed incomprensibile porta a sottomettere la propria esistenza ad un sistema soggiogante, si è disposti a credere che la propria vita si riduca a un mero momento di follia estrema.

Accade che si decida di sottoporsi a sfide di cui inizialmente non si comprende davvero la pericolosità: l’istinto che ha fatto decidere di accettare il gioco, è allo stesso tempo cieco del pericolo. La macchina di cui ci si è fatti guidatori è smisurata, incontrollabile, inarrestabile.

Oppure si decide che rischiare di morire è meglio che vivere.

La Presidente dell’Osservatorio Nazionale dell’Adolescenza la chiama ‘Generazione Hashtag’, una generazione che spesso paragona la propria vita ad un cancelletto “che a volte può essere un cancello di accesso a degli spazi del Web così oscuri che sarebbe bene rimanessero tali.”

Il mondo che qualcuno decide di mostrare tramite i Social o il Web non coincide, spesso, con la realtà che ci circonda. Ma per chi vive di Social è difficile sentirsi vivi fuori dalla rete. E allora vivere o morire è lo stesso, purché si venga notati da qualcuno.

Si è disposti a immergersi anche in un abisso pur di riemergere in un solo istante di notorietà.

Eppure esiste un modo per riemergere completamente. Per mettere la testa fuori dall’acqua e capire di non essere stati creati per lasciare che l’oceano in cui ci si è trovati, più o meno coscientemente, diventi profondo come la morte. Ma per decidere che dal fallimento ci si vuole alzare, si vuole rimanere in piedi e persino camminare sulle acque. L’inestimabile valore della tua vita sta gridando  dentro te per essere manifestato.

E se per essere liberi per davvero, dovessimo solo appoggiarci sul petto di Colui che ci ha voluti fin dall’inizio?

Olimpia

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