Checkpoint Fermezza

Qualcuno una volta ha detto che il miglior modo di raccontare una storia è cominciare raccontandone un’altra. Proviamo allora a disegnare una traiettoria imprevista e – a suo modo – perfetta.

Nel 1961, Berlino era lacerata in due blocchi: quello occidentale, filo-americano, e quello orientale, filo-sovietico. Del fitto reticolo dei posti di blocco che presidiavano il muro, che ha spaccato in due il mondo per quasi trent’anni, uno in particolare è passato alla storia, tanto da diventare un’icona: il checkpoint Charlie. Attivo dal 1961 al 1990, collegava il settore di occupazione sovietico con quello americano. Parliamo di una cabina di qualche metro quadro che, situata tra il quartiere sovietico e quello statunitense, avendo il compito di vigilare e lo scopo di difendere, finì per assecondare la follia di una guerra che di freddo aveva solo il sangue, causando la morte e la sofferenza di tantissima gente.

Ma passiamo un attimo a un’altra storia… È della settimana scorsa la notizia che l’Accademia di Stoccolma ha assegnato il premio Nobel per la Fisiologia e la Medicina agli immunologi J. P. Allison e Tasuku Honjo “per la loro scoperta della terapia del cancro mediante l’inibizione della regolazione immunitaria negativa”. Ora ti starai domandando cosa c’entri questo con il muro di Berlino e il checkpoint Charlie: la soluzione è appena oltre il posto di blocco.

La terapia proposta da Allison e Honjo, chiamata – non a caso – dei checkpoints immunologici, consiste in un approccio che individua e mette fuori uso quel posto di blocco che il nostro organismo aveva sviluppato per difenderci e che invece finisce per assecondare il cancro e dargli man forte. Esattamente come Berlino che, smantellando il muro e i suoi checkpoints, ha trovato dentro di sé la risposta al cancro che la stava distruggendo, grazie al professor Allison e al professor Honjo, rimuovendo i checkpoints, annullando i posti di blocco, possiamo sperare che il nostro organismo trovi dentro di sé le risorse per vincere il cancro e sopraffare la morte.

La storia che mi interessava raccontarti, però, è un’altra e risale a sessant’anni fa, a due anni prima del muro di Berlino. È la storia di un ragazzino di undici anni e di una normale famiglia americana del comune di Alice, Texas. È una storia breve: James, così si chiamava quel ragazzino, a undici anni imparò una parola che non avrebbe più dimenticato: tumore del sistema linfatico, meglio noto come linfoma. Così, in poco tempo, morì la madre di James: Constance Kalula, un nome come un altro nell’interminabile lista di morti ammazzati dal cancro. Potrebbe sembrare questa la fine della storia non è così, non termina con i funerali della madre di James, perché nessuna storia che valga davvero la pena raccontare, può fermarsi soltanto perché un checkpoint glielo ha imposto.

Per come gli è andata poi la vita, il piccolo James doveva aver compreso che restare fermo a un posto di blocco, poteva insegnargli la fermezza. Da fermo imparò che doveva andare avanti. Da fermo, James scoprì un segreto: se un checkpoint è la sola cosa che ti rimane, allora un checkpoint è la sola cosa di cui hai bisogno. Se l’unica sensazione che avverti è di essere fermo, la fermezza è la sola cosa che devi imparare.

Questo è ciò che quel ragazzino di Alice, Texas, nel 1959 dovette scegliere di fare quando sua madre gli insegnò morendo la parola tumore. Da fermo, scelse di studiare il suo nemico, di studiare quel checkpoint per poterlo poi smantellare. Ha studiato fino a diventare professore, il professor James P. Allison, lo stesso Allison della terapia dei checkpoints immunologici, lo stesso Allison del premio Nobel per la Medicina.  

La tua vita è più grande di ciò che hai vissuto. La tua storia può e deve raccontare molte più storie di quanto tu sia in grado di credere. Come per il professor Allison, che avrebbe dovuto fermarsi a raccontare la morte di sua madre, ma che invece si è messo di impegno a raccontare la vita di migliaia di persone che, proprio grazie a lui, abbatteranno il loro checkpoint C(ancer) trovando dentro di sé, come ha fatto lui da ragazzo e Berlino il secolo scorso, le risorse necessarie per vincere il cancro.

Perché un giorno non conterà cosa ricorderemo di ciò che avremo vissuto, ma come vivranno gli altri ricordandosi di noi.

 

Gionathan

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